Gli anni della quinta generazione di console per molti di noi coincidono con l’infanzia e, mentre crescevamo, anche il mondo dei videogiochi cercava di trovare la sua strada. Sono stati gli anni in cui dominava il Nintendo 64 e Sony faceva esordire la prima PlayStation.
In quest’era, il genere che andava per la maggiore era sicuramente quello dei platform 3D. Le grafiche tridimensionali erano una novità e le mascotte come Mario e Crash Bandicoot aiutavano ad affezionare i più giovani al marchio.
Croc: Legend of the Gobbos esce alla fine del 1997 su PlayStation e Sega Saturn. Lo studio britannico Argonaut Software aveva creato la sua mascotte, un piccolo coccodrillo verde dotato con uno zainetto sulle spalle che avrebbe esplorato un mondo di gioco interamente tridimensionale.
La cutscene iniziale stabilisce che Croc era un orfano cresciuto dai Gobbos, delle creaturine pelose che lo avevano accolto nel loro villaggio. Un giorno però il malvagio Barone Dante invade il Regno dei Gobbos e Croc dovrà trovarli tutti e liberarli dalle grinfie dei Dantini.
Si tratta di una premessa molto semplice e lineare per un videogioco che ha come target un pubblico giovane. Inoltre non sempre è necessario avere una trama complessa e contorta per regalare ai propri giocatori un’esperienza piacevole. Specialmente in quest’epoca, l’espediente narrativo doveva servire solamente a motivare il giocatore a proseguire nell’avvenutra.
Gameplay, piattaforme e controlli
Abbiamo già stabilito che Croc: Legend of the Gobbos è un platform e non si discosta per niente dai limiti del suo genere. Nel gioco sono presenti tutti i pilastri che ci si aspetterebbe da un titolo di questo tipo. Esistono quattro mondi di gioco divisi per livelli in cui il nostro protagonista dovrà saltare ostacoli e sconfiggere i perfidi Dantini per arrivare alla fine del percorso.
All’interno di ogni livello Croc dovrà raccogliere più gemme possibili, che gli permetteranno di guadagnare vite extra e lo proteggeranno dagli attacchi dei nemici. Se subiamo danno infatti, la prima conseguenza sarà quella di perdere le gemme raccolte, mentre perderemo una vita se verremo colpiti una seconda volta.
Nel corso dei vari livelli dovremo stare attenti a liberare tutti i Gobbos presenti e avremo anche il compito di raccogliere le cinque gemme colorate sparse lungo il percorso, che si permettono di liberarne uno extra.
Una volte superati tutti i livelli di un mondo di gioco dovremo affrontare un boss, dopo una cutscene che vede Barone Dante trasformare uno dei suoi scagnozzi in un nemico più temibile.
Questi sono tutti pilastri di un buon platform ma il successo di un videogioco di questo genere è determinato molto dalla qualità dei controlli. Croc: Legend of the Gobbos su questo un po’ si perde. Il coccodrillo possiede una serie di mosse molto semplici da da eseguire come il salto, che serve per arrampicarsi e saltare di piattaforma in piattaforma e il colpo di coda, utile per sconfiggere i nemici disseminati nel livello.
I controlli però risultano rigidi e macchinosi per la gran parte del gioco. Se alcuni difetti possono essere imputati alla tecnologia rudimentale dell’epoca, alcune lacune relegano Croc ad un livello inferiore rispetto ai suoi competitor. In un mondo in cui Crash Bandicoot e Super Mario 64 presentavano uno schema di controlli fluidissimo, Croc: Legend of the Gobbos non può che risultare un po’ obsoleto a confronto.
Il futuro della serie
Dopo il primo capitolo datato 1997, Argonaut Software ha prodotto un sequel due anni dopo ma la serie è stata abbandonata dopo il 1999. A fine anno però dovrebbe uscire una versione remastered del titolo originale che, stando alle immagini mostrate finora, dovrebbe manterere integro lo stile del primo Croc adattandolo agli standard grafici moderni.
Croc: Legend of the Gobbos sicuramente non è un titolo perfetto e il genere platform offre alternative ampiamente superiori, sia classiche come Crash e Spyro, che moderne come Astrobot. Siamo convinti tuttavia che il coccodrillo di Argonaut sia stato troppo sottovalutato in questi anni. Il level design, seppur molto semplice, è sempre divertente e la direzione artistica, compresa la colonna sonora, non ha nulla da invidiare ai suoi cugini più famosi.
Se il remaster riuscirà a rendere i controlli più fluidi e maneggevoli crediamo che Croc meriti un futuro. L’industria videoludica non è fatta soltanto per titoli che rivoluzionano il genere e che presentano grafiche spettacolari. C’è spazio anche per videogiochi semplici, che non si pongono assurde pretese se non quella di diverire il giocatore, e Croc questo compito lo svolge in maniera ottima.
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UN COCCODRILLO BISTRATTATO
Croc: The Legend of the Gobbos ha molti difetti. I comandi sono troppo rigidi e i livelli a volte appaiono troppo semplicistici. Questo gioco però diverte dall’inizio alla fine e, per quanto il fattore nostalgia possa influire, pensiamo che nel panorama videoludico ci sia ancora spazio per giochi semplici e senza pretese come questo.