Dragon Age: The Veilguard è stato uno dei titoli più controversi dello scorso anno. Bioware avrebbe dovuto mostrare al mondo di essere tornata dopo un decennio di fallimenti e riconquistarsi una posizione di rilievo all’interno dell’industria.
Inutile dire che queste speranze non si sono concretizzate, perchè Dragon Age: The Veilguard si è rivelato un sonoro fallimento, sia dal punto di vista critico che da quello commerciale.
Il noto youtuber SkillUp, uno dei pochi fortunati a ricevere un codice per la recensione, ha rivelato: “Durante ogni interazione sembra che le Risorse Umane siano nella stanza” e questa frase incapsula perfettamente i problemi dell’ultimo capitolo della saga. Anche gli incassi hanno riflettuto questo sentimento di delusione perchè, secondo i numeri di EA, il titolo “ha raggiunto 1.5 milioni di giocatori” a fronte di un obiettivo fissato a 3 milioni di copie vendute.

Il CEO di EA è intervenuto sulla questione affermando: “i giochi hanno bisogno di connettersi direttamente alle esigenze in evoluzione dei giocatori, che cercano sempre di più feature con mondi condivisi e un coinvolgimento più profondo“, indicando attraverso inutili orpelli verbali che Dragon Age: The Veilguard non sarebbe stato un flop se fosse stato un live-service.
A commentare questo inconcepibile punto di vista ci ha pensato Paul Tassi, che nel suo pezzo su Forbes ha scritto: “Non credo che nessuno, nel mondo reale, sarebbe d’accordo con questo sentimento. Che si tratti dei fan di Dragon Age a cui non piacevano i cambiamenti di tono o estetici, di nuovi giocatori che si erano persi o disinteressati all’ultimo gioco di dieci anni fa, o anche a coloro che hanno accusato l’elemento ‘woke’. Nessuno di questi gruppi sarebbe d’accordo sul fatto che sia fallito perché non era un live-service. Che idea assolutamente ridicola.”
E voi che ne pensate? Dragon Age: The Veilguard avrebbe avuto più successo come live-service?
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