I videogiochi e l’arte esistono per generare in noi emozioni forti. A prescidere dal progetto, grande o piccolo che sia, gli autori partono con l’augurio che il pubblico possa ricevere e comprendere l’impatto di ciò che si vuole comunicare e questo è l’obiettivo forse più arduo da raggiungere per un artista.

Non è facile far provare paura allo spettatore. Il rischio di cadere in schemi già troppo spesso ripetuti e inefficaci è dietro l’angolo ma il team che ha creato Idili dimostra di sapere benissimo come si fa. Il survival horror dello studio italiano Megalith Interactive ambienta la sua terrificante storia nelle campagne sarde e pesca a piene mani nella tradizione isolana permettendoci di visitare una versione virtuale Parco Naturale Nuraghe Is Paras.

Oggi abbiamo avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con Stefano Piras, il game director che ha condiviso con noi alcuni retroscena sul progetto.

Idili, paura in Sardegna

Idili

Idili nasce come un survival horror puro e questo lo si capisce fin dalle prime battute. Interpretiamo un turista di nome John, venuto in vacanza in Sardegna con la sua fidanzata di nome Ellie. Ne prendiamo subito il controllo e rispondiamo ad una telefonata di suo fratello Matt, con cui parleremo amichevolmente dei giorni passati nell’Isola italiana e delle sue meraviglie. John è estasiato dalle bellezze della Sardegna, Matt scherza e i due si prendono in giro a vicenda.

Matt chiede notizie della fidanzata e John confesserà, a suo fratello e allo spettatore, che lei e una guida turistica si stanno dirigendo verso il Parco Naturale durante un’orario teoricamente proibito. John li sta raggiungendo e nel frattempo si sta godendo la fresca serata estiva. Lo vediamo superare il cancello del parco dirigendosi verso quello che dev’essere un punto informazioni.

Qui inizierà effettivamente la nostra avventura, perchè dopo esserci intrufolati dalla finestra, il gioco inizierà ad introdurre tutti i suoi elementi di gameplay. Idili è un survival horror improntato sopratutto sulla narrativa e ogni sistema agirà in funzione della stessa. Per cominciare troviamo un foglio di carta da parte di Ellie, che ci indica la direzione in cui lei e la guida si sono diretti, poi mettiamo le mani su una mappa del parco con legenda annessa, fondamentale per orientarsi.

Nel piccolo ufficio scoviamo anche diversi oggetti utili come delle batterie ed un mazzo di chiavi, che prontamente finiranno nel nostro zaino. A questo punto ci addentriamo nel Parco, per raggiungere la Domus De Janas, dove a quanto pare Ellie si è diretta. Qui veniamo per la prima volta inghiottiti dalle tenebre che avvolgono il Parco Naturale. La notte è davvero buia e soltanto qualche flebile fonte di luce lungo il percorso guida i nostri passi. Abbiamo anche una torcia a disposizione ma le batterie sono limitate e noi abbiamo pensato non fosse saggio consumarle fin da subito.

La Domus De Janas è chiusa dietro un cancello protetto da una combinazione, che dovremo cercare esplorando il Parco. La mappa indica le otto località principali, ognune delle quali nasconde qualche indizio o risorsa e il gameplay di Idili si basa proprio sulla nostra capacità di raggiungerle e orientarci. Ogni biglietto o oggetto d’interesse verrà custodito nel nostro zaino, che potrà essere aperto in ogni momento per consultare quello che è all’effettivo un menù in game.

È importante fare attenzione ai biglietti, che oltre ad offrirci indicazioni importanti sono un fondamentale strumento di storytelling. È questa la maniera degli sviluppatori di raccontare la propria storia, almeno finchè non entreremo nella Domus De Janas dove faremo una scoperta agghiacciante. Una volta entrati nel preistorico mausoleo ci imbattiamo nel cellulare di Ellie, che ci ha lasciato un messaggio in segreteria.

Si sentono le voci spaventate della guida turistica e della nostra fidanzata. Qualcosa li sta terrorizzando. I rumori in sottofondo sono allarmanti ed Ellie, strozzata dalle lacrime esclama “C’è qualcosa là fuori”. Le poche luci che illuminavano il Parco si spengono ed è chiaro che la situazione sta precipitando. L’introduzione è terminata, il tutorial è finito e ora siamo soli contro l’oscurità.

A questo punto Idili cambia marcia e diventa fondamentale utilizzare in maniera oculata tutti gli strumenti che il gioco ci affida, in particolare la torcia. Il Parco è diventato buio pesto e illuminare il cammino con la torcia è l’unico modo per orientarsi. Le batterie però sono limitate, quindi dovremo fare il possibile per memorizzare i nostri passi e saper usare la mappa.

Far ripartire il sistema d’illuminazione è la priorità. Senza corrente restiamo scoperti e qualunque cosa si nasconda nell’oscurità del Parco potrebbe coglierci di sorpresa. Nonostante le minuziose preparazioni però, Idili introdurrà per la prima volta il mostro in una maniera totalmente inaspettata. Ci troviamo in un garage alla ricerca del fusibile mancante ma improvvisamente un allarme squarcia il silenzio e in men che non si dica veniamo aggrediti dalla presenza, che riempie il nostro schermo e non facciamo in tempo a gridare prima che abbia sferrato il suo colpo letale.

Non vogliamo descrivervi in maniera troppo fedele l’entità che si anniderà nell’ombra di Idili ma possiamo dirvi che non è il classico mostro da banale film horror. Abbiamo giocato tantissimi titoli di questo genere ma la presenza evocata dagli sviluppatori è riuscita a farci trasalire perchè rappresenta una cultura millenaria e misteriosa, di cui noi siamo completamente all’oscuro. Così come John siamo intrusi in un mondo che non comprendiamo pienamente ed è questa la vera fonte da cui scaturisce qualunque paura.

Il progetto di Megalith Interactive fa tesoro delle sue radici culturali per creare un mondo di gioco autentico, condito da un velo horror molto delicato che non fa affidamento sul sangue, sulla repulsione naturale, automaticamente scatenata alla vista di certe scene. Idili ci obbliga a nasconderci nel buio e nel silenzio, varcando i confini di una terra ignota, ed è per questo che ci sentiamo costantemente angosciati, soli ma costantemente osservati.

Il gameplay di Idili è molto semplice e ci sfida a farci largo in un mini open world alla ricerca di indizi e di puzzle per poter finalmente sfuggire da questo incubo. Si tratta di un paradigma innovativo ma l’attrattiva del gioco si basa tutta sulla sua atmosfera, che risulta sorprendentemente realistica.

Avevamo già detto all’inizio che non è semplice spaventare il proprio pubblico. Per farlo serve essere padroni della propria storia e del contesto in cui la si vuole ambientare. Qui Idili trova la sua formula vincente perchè gli sviluppatori conoscono perfettamente queste terre e le sue tradizioni, creando le premesse per terrorizzarci. Siamo fuori dal nostro ambiente, dei pesci fur d’acqua e siamo completamente inermi nelle mani di Megalith Interactive.

Ma ora incontriamo uno di questi sadici sviluppatori, che ci ha concesso di guardare dietro il sipario di Idili. Ora passiamo la parola a Stefano Piras, il game director e ideatore del progetto.

Parola agli sviluppatori – Intervista a Stefano Piras

Parlando con sviluppatori indie come voi ci rendiamo conto che non è mai facile dare corpo alla propria visione e biogna sempre fare dei compromessi. Come avete gestito questa situazione?

Si, diciamo che Idili rappresenta quello che abbiamo potuto fare, non tanto quello che abbiamo voluto fare. Come sapete sviluppare un videogioco ha dei costi estremamente alti, quindi abbiamo fatto il possibile per mostrare il potenziale. Poi in realtà ci sarebbero tantissime idee da esplorare, Idili è la punta dell’iceberg.

Parliamo delle grafiche. Giocando a Idili siamo stati veramente impressionati dalla fedeltà e dal realismo grafico del gioco e siamo sicuri che per arrivare ad un risultato simile serva molto impegno. Già dall’inizio volevate adottare questo stile artistico o lo avete deciso in corso d’opera?

Si, nello specifico si. Idili nasce come tesi di Master in musica per i videogiochi e doveva trattarsi di una mappa sonora, quindi uno studio sulla spazializzazione e le tecnologie di Unreal Engine. La veridicità a livello grafico era una delle prerogative perchè avevo piacere di riprodurre in maniera realistica il sito archelogico e poi sono un grande appassionato di grafica realistica, ci faccio molta attenzione in quello che gioco.

Sono stato molto fortunato perchè il nostro grafico Rafael Bernal Teyedor è veramente un ragazzo bravissimo e ci ha messo tanta passione. Abbiamo fatto tanti sopralluoghi sul posto, persino il Nuraghe è stato realizzato grazie ad un rilievo in fotogrammetria.

Questo aspetto è molto importante per noi, perchè il gioco ha come cornice la cultura nuragica, che vogliamo provare a promuovere. È una parte importante della cultura sarda e italiana.

Su questo punto vorrei ringraziare anche Sardinia Game Scene, un’associazione sarda che supporta lo sviluppo della cultura del videogioco in Sardegna e loro hanno creduto in noi fin dall’inizio.

Anche questo è un aspetto molto interessante. Voi volevate includere la cultura sarda all’interno di Idili e fare in mondo che fosse radicato nella tradizione?

Esatto, diciamo che l’idea per Idili parte da una riflessione che ho fatto anni fa quando sono tornato da un’esperienza a Londra. Ho pensato che a casa mia, in Sardegna posso capire quali siano le potenzialità culturali e portare le mie competenze in servizio delle stesse. Credo che la Sardegna possa beneficiare, perchè come tutta l’Italia ha un bacino culturale immenso che potrebbe essere sfruttato in maniera migliore da tutti i talenti, i quali purtroppo molto spesso sono costretti a fuggire.

Avete già piani futuri per il gioco e per il team?

In questo momento stiamo cercando di impostare il progetto per far si che Idili sia il nostro vertical slice., perchè in realtà Idili è un vertical slice commercializzato. In molti ci si sono lamentati dicendoci che è troppo corto e questo è il complimento più bello che ci potessero fare, perchè evidentemente vorrebbero averne di più. Vorrebbero entrare di più nella storia e nel mondo di gioco.

Siamo riusciti ad avere molti feedback dal pubblico pagante, che forse sono le opinioni più importanti. Una volta che qualcuno acquista vuol dire che ha fiducia nel progetto e molte opinioni, seppure siano stati schiaffi morali a volte, ci hanno dato la motivazione per perfezionare il progetto. Fa male ricevere certi commenti? Certo, però sono tutte lezioni dalle quali possiamo crescere e migliorare.

C’è un grossissimo lavoro dietro al progetto, tutti gli asset sono nostri, le meccaniche sono custom e credo che al giorno d’oggi questo aggiunga molto valore.

Il survival horror è un genere molto particolare dal punto di vista dello sviluppo. Rispetto a platform o metroidvania richede un’attenzione specifica sulle meccaniche e gli elementi del mondo di gioco. Siete partiti subito con l’idea dell’horror?

Io confesso che pur essendo un amante degli horror ne sono sempre stato un po’ spaventato, Resident Evil lo giocavo dopo pranzo con la luce accesa [ride]. Ho sempre riconosciuto la potenza dell’horror, perchè so che a grandi emozioni solitamente si legano grandi ricordi.

Essendo poi che Idili è partito come mappa sonora, l’horror è stato il presupposto iniziale. Quello che so è che io posso farti avere paura senza la necessità di farti vedere nulla. E per me, che non sono un grafico, questa era una cosa fondamentale, un prerequisito fondamentale per poter fare qualcosa che valga la pena di essere giocato.

Poi anche se tu lo trovi “brutto” non mi stai dicendo che non è un gioco. Sembra una sciocchezza ma un gioco “brutto” si può migliorare, mentre se un’esperienza non viene percepita come un gioco è molto più complesso. E l’horror è quell’elemento ponte che magari un gioco non percepito come tale, con la componente horror invece da quella sensazione di gioco.

Il tutto parte dallo studio del primo indie horror che è esploso, ovvero Slenderman. In quel gioco non succede nulla, ogni tanto quella figura spunta e ti spaventa ma è la tua testa che crea la narrazione.

Idili può esser considerato come un piccolo open-world, in cui il giocatore può esplorare il Parco a proprio piacimento. Come avete fatto a controllare tutto sapendo che il giocatore sarebbe stato così libero? Soprattutto in un horror come il vostro questa filosofia richede grande lavoro per poter essere applicata.

Qui ritorno alla questione culturale, perchè comunque il mio obiettivo era anche quello di promuovere la tradizione sarda. Il valore del videogioco nel tramettere la cultura è molto sentito a livello europeo, perchè si cerca di creare valore aggiunto alla cultura tramite il mezzo videoludico.

La nostra mission è principalemente quella culturale e una delle prime caratteristiche che volevo dare al gioco era quello di esser un open world. Un world veramente piccolo per il momento, stiamo parlando di un mondo di gioco che si limita al perimetro di un Parco archeologico ma il concetto c’è. Il giocatore può andare ovunque ma chiaramente, se non si segue la storia molte aree saranno inaccessibili, questo serve per incanalare il giocatore verso la narrativa, che invece è lineare.

Ogni elemento però è giustificato, non ci sono barriere invisibili. Se il giocatore non può entrare in una determinata area è perchè gli serve uno strumento, che può trovare seguendo gli indizi dati dalla storia. Però appena si varca il cancello del Parco si può esplorare liberamente, si possono vedere due Nuraghe, i Menir e muoversi anche al di fuori del sentiero tracciato. Io non ti do una sola strada, sei libero di andare dove vuoi e vivere l’esperienza secondo il tuo ritmo e le tue preferenze.

Come avete fatto a bilanciare un survival horror che si sposi con i concetti dell’open world? Ci sono tante variabili da considerare, per esempio il comportamento del giocatore che non puoi prevedere.

Diciamo che noi diamo al giocatore tutti gli strumenti necessari, se poi però si mette nei guai è un suo rischio. Se ad esempio finisci le batterie della torcia, beh bisogna che aumenti la luminosità dello schermo e speri di trovarne altre il prima possibile. L’idea è anche quella di mettere in difficoltà il giocatore.

Gli enigmi e i puzzle invece li abbiamo bilanciati diversamente. In questo momento è come se Idili fosse disponibile solo in modalità ‘Facile’, noi abbiamo già impostato una serie di parametri che potrebbero essere resi più complessi. I puzzle di fatto sono abbastanza semplici e per cercare di renderli più fattibili avvisiamo il giocatore se si è dimenticato qualcosa con una dicitura sullo schermo. Questo limite non mi convince molto ma è comunque un buon compromesso.

Gli enigmi invece avrebbero dovuto essere molto più complessi all’inizio, però ci siamo assicurati di lasciare parecchi indizi, in modo che chi se ne fosse perso qualcuno avrebbe potuto trovarne altri per arrivare alla soluzione. Infatti anche la difficoltà degli enigmi sarà oggetto di aggiornamenti e variazioni, così come la IA del mostro.

A proposito del mostro, ero curioso di sapere se anche lui fosse ispirato alla tradizione o invece fosse un designo originale vostro.

Il mostro è al 99% ispirato alla tradizione, è una figura del carnevale sardo che si chiama Sa Filonzana, che tradotto significa “colei che fila”. Noi abbiamo scritto pagine e pagine di narrativa che spiegano l’implementazione di questa figura nella storia che non è minimamente citata nel gioco.

Lei è una figura millenaria, che tesse il filo della vita e quindi anche una sorta di rappresentazione del fato. Siccome ci sono tante leggende della tradizione sarda che sono un pochino “creepy” e lei è molto particolare, perchè è vestita di nero con uno scialle e ha una maschera tradizionale che viene da Ottana, un paese della Sardegna. È qualcosa di molto radicato, perchè fa paarte della tradizione pagana e pre cristiana, antica e altrettanto affascinante.

Mi è sembrata subito la figura perfetta perchè il suo ruolo se vogliamo è quello di fine vita, quindi quale mostro migliore per darti la caccia se non quella che ha la funzione di porre fine alla tua vita? È come se fosse la morte, determina chi deve stare in vita e chi no in base al suo comportamento.

Avete giocato a Idili?

Unisciti a noi e segui l’Alpaca su Instagram, Facebook e X.